Corrispondenza da Berlino
C’è guerra sociale in Europa. Che siano di destra o “socialdemocratici”, i governi diventano sempre più violenti socialmente come sul piano politico e poliziesco.
Chiusura delle radio e delle televisioni pubbliche in Gracia, 5.000 manifestanti feriti in Turchia, il 60% dei giovani disoccupati nello stato spagnolo e in Portogallo, brutalità della polizia contro il movimento Blockupy a Francoforte… Accadono cose che molti non avrebbero neanche immaginato negli anni scorsi.
E’ questa la situazione che è stata denunciata durante un grande meeting che si è svolto in Germania, a Berlino, venerdì 14 giugno. Organizzato dai gruppi che partecipano ad un processo di discussione per una nuova organizzazione anticapitalista («Neue Antikapitalistische Organisation»), vi hanno preso la parola in particolare Charles-André Udry (attivo nelle correnti di sinistra di Syriza), Olivier Besancenot (del NPA francese), Raquel Varela (storica portoghese) e Erdugrul Kürkcü (militante rivoluzionario venuto dalla Turchia). E 300 persone tra il pubblico, cosa che rende questo meeting il più importante per la sinistra radicale berlinese da molto tempo a questa parte.
Il leitmotiv del meeting era nell’aria da tempo, attorno alle sollevazioni nell’Europa del Sud e alle loro prospettive. Proprio durante la preparazione del meeting sono scoppiati i movimenti in Turchia. Ed è questo a nutrire una delle certezze che si è espressa nella riunione. La sinistra anticapitalista radicale europea, e più in particolare quella tedesca, non può continuare nella sua routine. Un nuovo raggruppamento politico, un rinnovamento organizzativo sono necessari.
Bisogna «rivoluzionare i rivoluzionari»… Questa frase di Rudi Dutschke del 1968 è più attuale che mai; perché se non si agisce così, la sinistra radicale sarà punita con la sua marginalizzazione. Occorre farla finita con i piccoli circoli autosufficienti, con il dogmatismo sterile e lo schematismo. Abbiamo bisogno di un polo di attrazione radicalmente anticapitalista, in cui i dibattiti strategici e internazionalisti partano dalle cose quotidiane.
«Die Linke» non può essere questo polo; è un partito ossificato e poco democratico, che, fin dai suoi inizi, mette il 90% della sua energia nelle elezioni e la cui maggioranza dei membri coltiva una nostalgia assurda della ex-Germania orientale. Con le correnti di sinistra presenti in questo partito va cercata la discussione politica, tentando di spingerle verso una riflessione critica.