Non rassegnarsi alla palude

di Franco Turigliatto


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Le crisi economiche e sociali sconvolgono gli equilibri tradizionali della società, irrompono nelle condizioni materiali delle classi, modificano la vita e il comportamento delle persone, esaltano i vizi e le virtù individuali dei singoli e delle forze politiche e sociali; in altri termini alimentano le ideologie conservatrici e reazionarie, ma anche potenzialmente, quelle rivoluzionarie.
Se si guarda al nostro paese tutti questi elementi sono facilmente percepibili, ma, nell’assenza fino ad oggi di un forte movimento di massa che contesti le scelte economiche e sociali fondamentali, ciò che emerge, anzi che trabocca è solo il degradante e nauseabondo comportamento delle forze politiche di governo e delle istituzioni borghesi sempre più sospinte in una deriva antidemocratica ed autoritaria, accompagnato dalla protervia revanchista della borghesia contro le lavoratrici e i lavoratori, determinando così la prevalenza di concezioni reazionarie, di banalizzazione e di assoluzione di qualsiasi scelta o comportamento, anche quelli più vergognosi ed anche delittuosi.
Naturalmente a tirare la volata in tal senso sono Berlusconi e i suoi uomini, ma è fin troppo evidente che il PD è pienamente responsabile del fatto che nel nostro paese si siano affermati questi scenari pericolosi.
A prevalere sono dunque fino ad oggi i vizi, l’ipocrisia, la sfacciataggine e il senso di impunità delle forze sociali e politiche della classe dominante con la copertura che a queste è data dalla subordinazione e dalla passività delle forze sindacali maggioritarie.
Per ora le mille resistenze sociali, che pure sono presenti nel paese, non trovano modo e sponde per coagularsi e affermare altri valori, altri obbiettivi, un progetto economico e sociale alternativo al sistema del capitalismo.
Il governo di coalizione di Letta è l’epicentro e il coagulo di tutti questi elementi e comportamenti negativi, strumento obbligato di gestione delle scelte della borghesia in un contesto di instabilità permanente e di crisi degli stessi partiti che lo sostengono. Costoro stanno insieme per ragioni semplici: sono del tutto d’accordo sugli obiettivi del capitalismo italiano ed europeo, sulle politiche di austerità che vogliono e devono gestire; quando si producono inevitabili tensioni interne alla coalizione, per le mille contraddizioni e interessi presenti che possono farlo saltare, interviene il presidente della Repubblica, supremo garante non della Costituzione, ridotta ormai a un simulacro, ma del capitalismo italiano, per ricordare ai protagonisti quale sia il compito per cui sono stati chiamati a governare: gestire una austerità sempre più dura, costruire cortine fumogene per cercare di coprirla, lavorare per mettere gli uni contro gli altri, giovani e vecchi, un settore sociale contro un altro, garantire sfruttamento, profitti e rendite.
In questo quadro tutte le peggiori faccende e vicende sono possibili: gli ignobili favori al dittatore kazako, l’assoluzione di Alfano, il razzismo della Lega, un condannato a 7 anni di reclusione ricevuto ed assolto dal presidente della Repubblica, lo spazio aereo italiano negato al Presidente di uno Stato sovrano e per altro molto democratico.
Ma dietro tutti questi miasmi inaccettabili c’è anche la sostanza economica e sociale: il procedere implacabile di questo governo nella distruzione della sanità pubblica, giorno dopo giorno, il peggioramento delle stesse norme della Fornero in un crescendo di liberalizzazione del mercato del lavoro senza fine, le tante inique misure con cui le classi subalterne vengono spinte sempre più in basso, salvaguardando rendite e profitti, la messa in opera di un nuovo piano di privatizzazioni (Eni, Enel, Finmeccanica), così sfacciato che lo stesso “Sole 24 ore” è costretto in un editoriale a spiegare che certo si deve privatizzare ma che bisogna farlo con cautela per evitare le svendite.
Sono tutti ballon d’essai per capire le reazioni e procedere col giusto passo in quella direzione.
E poi naturalmente c’è la riaffermazione che il programma degli F35 deve andare avanti; questi aerei da caccia devono essere acquistati anche se le pensioni sono tagliate e gli esodati spinti al suicidio.
Infine, sullo sfondo ormai vicino dell’autunno, ci sono le nuove manovre economiche che non saranno certo evitate e impedite dalle smentite del “sinistro” viceministro dell’economia Fassina.
Qualcuno si stupisce del comportamento del PD, dei suoi scontri interni, che poi finiscono però sempre con la capitolazione ai ricatti del PDL e alle imposizioni di Napolitano e con le plateali e ridicole marce indietro dei presunti esponenti della sinistra del partito. Molti tirano in ballo l’incapacità del gruppo dirigente, che certo esiste, tanto è vero che non è stato neanche capace di fare, come ha fatto il PS in Francia, una campagna elettorale con un taglio propagandistico vagamente di sinistra per riuscire a vincere le elezioni (glielo impediva il suo specifico rapporto con la borghesia italiana).
Tuttavia è altra la contraddizione di fondo che mina il PD. Consiste nel fatto che questo partito vuole essere ed è strumento fondamentale della gestione del sistema capitalista; ne ha abbracciato in pieno l’ideologia liberista e pratica quindi, condividendole, le politiche di austerità.
Fare questo e nello stesso tempo far credere di essere una forza alternativa al PDL e strumento fondamentale di difesa della democrazia, è uno sforzo impossibile; può, e ci riesce, confondere molte persone, ma produce nella società effetti esplosivi che al suo interno producono una permanente tensione e divisione (non certo sulle questioni di fondo, ma sulle forme con cui ognuna delle sue componenti cerca di sopravvivere).
Da questo punto di vista sono patetiche, ma molto pericolose le posizioni di coloro, che, come Sel, avendo scelto l’alleanza con questo partito per “spingerlo a sinistra”, sono costretti a mimare un’opposizione (sterile) al governo, senza rompere col PD e progettare uno scenario “riformista” del tutto fantasioso.
In questo quadro l’opposizione viene lasciata al Movimento 5 stelle che però mostra i suoi limiti. Risulta infatti privo di un progetto economico sociale alternativo, concentrato solo sulla battaglia contro privilegi e malaffare delle forze politiche, una battaglia, per altro, condotta soprattutto  a livello parlamentare ed istituzionale, che inevitabilmente mostra la corda ogni giorno che passa.
Il movimento è incapace di concepire la mobilitazione sociale come strumento fondamentale di emancipazione e di democrazia sostanziale e non formale.
Ci sarebbe poi qualcun altro che avrebbe in parte la forza per costruire un movimento di resistenza, producendo quindi uno scenario sociale meno negativo nel nostro paese; parlo delle forze sindacali e segnatamente della Cgil; solo che costoro hanno scelto la linea del pieno sostegno al governo e della totale collaborazione con la Confindustria, tanto da firmare l’accordo corporativo del 31 maggio, che dà alcune garanzie di sopravvivenza agli apparati burocratici ed anche a qualche struttura di delegati nei luoghi di lavoro, in cambio di strumenti e pratiche di prevenzione delle lotte e di garanzia di maggior sfruttamento dei lavoratori per rendere più competitiva l‘industria italiana nei mari tempestosi della concorrenza capitalistica.
Questo fatto è agghiacciante, anche se molti sindacalisti e militanti sindacali non vogliono rendersene conto o pensano di poter praticare “utilmente” questa linea “realistica” in attesa di tempi migliori. Alcuni dei dirigenti nei comizi o in televisione si esercitano poi a enumerare le più belle cose riformiste e keynesiane, riproponendo la storica contrapposizione tra il concreto agire durante la settimana e i discorsi “socialisti” della domenica.
Non meno negativo lo sforzo di molti e diversi soggetti della CGIL per prevenire e impedire la costruzione di un’opposizione di sinistra, anche se piccola, nella confederazione, portatrice di una piattaforma di lotta e di obbiettivi alternativi alle politiche del fiscal compact e alla camicia di forza del patto sociale.
Situazione difficilissima: nulla da fare dunque, se non cercare qualche riparo isolato o qualche scorciatoia illusoria? No. La scelta resta un’altra, una scelta ardua, ma che può e deve essere praticata.
E’ l’impegno a costruire, senza subordinate, un intervento attivo e militante per favorire l’unità dei soggetti sociali che resistono, per denunciare i contenuti e la gravità dell’offensiva di classe del padronato, per favorire le opposizioni sindacali di classe, per costruire senza compromessi un movimento di classe anticapitalista e libertario.
Ci sono scenari internazionali che indicano che sommovimenti di fondo possono a un certo punto emergere e produrre grandi mobilitazioni di massa. E’ un progetto che è sociale e di lotta su piattaforme anticapitaliste, ma proprio per questo è anche politico, perché si colloca in una prospettiva rivoluzionaria e socialista.
Di fronte alla straripante egemonia ideologica del pensiero reazionario borghese, che tanti spinge e risucchia a destra, la costruzione delle resistenze sociali di massa e di un collettivo politico attivo e militante sono indispensabili per provare ad uscire dalla palude e suscitare nuove speranze.

Franco Turigliatto